IL TRIBUNALE
   Ha pronunziato la seguente ordinanza nella causa iscritta al numero
 di ruolo generale sopra riportato,  discussa  all'udienza  collegiale
 del  20  giugno  1996, promossa con atto di citazione notificato il 9
 aprile 1992 a ministero dell'aiutante ufficiale  giudiziario  addetto
 all'ufficio  unico  della  Corte  d'appello di Milano da Filitto Lino
 elettivamente domiciliato in piazza della Liberta',  Rho,  presso  lo
 studio  dell'avv.  N.  Caputo,  che  lo  rappresenta e difende giusta
 delega a margine dell'atto di citazione attore contro Brugali  Guido,
 elettivamente  domiciliato  in  V.  Podgora  n.  12, presso lo studio
 dell'avv. G. Baldini che lo rappresenta e  difende  giusta  delega  a
 margine della copia notificata dell'atto di citazione convenuto.
                        Svolgimento del processo
   Con  atto di citazione notificato il 9 aprile 1942, il sig. Filitto
 Lino, conveniva in giudizio  il  sig.  Brugali  Guido,  per  sentirlo
 condannare   al   pagamento  della  somma  di  L.  11.155.098,  quale
 corrispettivo per l'esecuzione di lavori di ristrutturazione.
   L'attore esponeva di aver ricevuto incarico dal  convenuto  per  lo
 svolgimento  dell'attivita'  meglio descritta nella fattura prodotta:
 su tale base, agiva per ottenere il compenso  relativo  all'attivita'
 svolta.
   All'udienza   del   1  luglio  1992,  si  costituiva  il  convenuto
 eccependo, innanzitutto, la propria carenza di legittimazione passiva
 in ordine alla pretesa, in quanto all'epoca dei fatti  sarebbe  stato
 mero  dipendente  della Simar, societa' che, invece, avrebbe ricevuto
 l'incarico per l'esecuzione dei lavori e chiedendo, conseguentemente,
 il rigetto della domanda.
   Nel corso del giudizio  l'attore  chiedeva  l'ammissione  di  prova
 testimoniale  sui  fatti  dedotti in citazione ed, in particolare, in
 merito alla sussistenza conferimento  dell'incarico  da  cui  avrebbe
 avuto  origine l'obbligazione dedotta in giudizio: tuttavia, il g.i.,
 con ordinanza 31 marzo 1993,  rigettava  dette  istanze  istruttorie,
 ritenendo inammissibili i capitoli di prova ivi dedotti.
   In  data  11  maggio  1993  l'attore  presentava  reclamo  ai sensi
 dell'art.  178 c.p.c. nei confronti dell'ordinanza del 31 marzo 1993:
 il  collegio,  evidenziando  l'estrema  genericita'  della  deduzione
 istruttoria, ne escludeva "la rilevanza ai fini dell'accertamento dei
 termini del rapporto in contestazione".
   All'udienza  di  precisazione  delle conclusioni l'attore formulava
 istanza, al collegio, per l'ammissione del giuramento  decisorio  che
 deferiva  nei confronti di controparte sulle circostanze a fondamento
 della domanda dedotta in giudizio.
   La causa era assegnata in decisione all'udienza del 20 giugno 1996.
                         Motivi della decisione
   Il  tribunale,  considerato  quanto  gia'  disposto   dalla   Corte
 costituzionale  relativamente all'art. 251 c.p.c. ed alla formula del
 giuramento del testimone in sede civile (sent. n. 149/1995);
   Considerato, altresi', che e'  gia'  stata  proposta  questione  di
 costituzionalita' con riferimento al giuramento decisorio della parte
 in  sede  civile  (art.  238  c.p.c.)  dubitandosi della legittimita'
 costituzionale   della   formula   che   prevede   l'assunzione    di
 responsabilita'  "davanti  a Dio ed agli uomini" (ordinanza tribunale
 Forli' 17 novembre 1995, Gazzetta Ufficiale n. 4/1996);
   Ritenuto che la gia' intervenuta  costituzionalizzazione  dell'art.
 251 c.p.c. e quella in corso relativa all'art. 238 c.p.c., eliminando
 da quest'ultima disposizione i riferimenti ad ogni tipo di religione,
 pongano   una   problematica   ancora   piu'   grave   relativa  alla
 costituzionalita' del giuramento decisorio;
   Rilevato, infatti, che al  termine  del  suddetto  procedimento  di
 costituzionalizzazione   della   normativa  ordinaria  si  avra'  una
 situazione per cui, essendo  i  testi  obbligati  a  "dire  tutta  la
 verita'"  sia  nel  processo  penale  che  nel  processo  civile, per
 converso, la parte nel processo penale (imputato) non sara' obbligata
 a dire la verita', mentre lo sara'  la  parte  nel  processo  civile;
 ritenuto  che  tale  disparita'  appare  piu'  incongrua  in  ragione
 dell'usuale  maggior  interesse  sociale  al  rispetto  di   precetti
 corredati di sanzione penale;
   Considerato  che  tale  incongruita' non appare, affatto, attenuata
 dalla circostanza che la parte  richiesta  del  giuramento  decisorio
 possa,   a  sua  volta,  riferirlo  all'altra,  parte  (poiche'  cio'
 significa, comunque, per  colui  che  vede  apprestarsi  la  vittoria
 processuale, sottoporsi ad elevato rischio di soccombenza);
   Ricordato  che  il giuramento nasce ed e' storicamente collegato in
 maniera indissolubile a concezioni di carattere religioso  ("ordalia"
 -  "giudizio di Dio") che supponevano la possibilita' di rimettere ad
 un'entita' metafisica un giudizio  altrimenti  impossibile  da  parte
 dell'Uomo;
   Ritenuto  che,  una  volta slegato da siffatta concezione religiosa
 (in conseguenza delle  pronunzie  della  Corte  costituzionale  sugli
 artt.  251  e  253  c.p.c.)  il  giuramento  perde, almeno per quanto
 riguarda la parte, ogni significato storico  e  rappresenta  solo  un
 incostituzionale  turbamento  della  paritaria condizione processuale
 delle parti stesse (art. 24 Cost.);
   Ritenuto, in particolare, che appare  socialmente  odioso  che  una
 parte,  dopo  aver  esperito  tutti  i  mezzi di processuale difesa e
 sentendosi prossima alla soccombenza (verita' processuale - giustizia
 dell'uomo) possa  invocare  un  giudizio  di  tipo  diverso  (verita'
 sostanziale - giudizio di...?);
   Considerato che l'imposizione di un adempimento di tal genere rende
 meno agevole il diritto di difesa e che la Corte costituzionale si e'
 gia' pronunziata nel senso di ritenere l'incostituzionalita' di oneri
 implicanti  un  irragionevole difficolta' nell'attuazione del diritto
 difesa (Corte cost. 568/1989, Corte cost. n. 237/1995);
   Considerato,  pertanto,  che  l'eliminazione  dalla   formula   del
 giuramento  di  ogni  riferimento  religioso  mentre,  da un lato, ha
 riaffermato  il  diritto  alla  liberta'  del  pensiero  individuale,
 garantito   dalla  Corte  costituzionale  (art.  3)  ha,  dall'altro,
 evidenziato in maniera stridente ed inaccettabile l'impossibilita' di
 permanenza nell'ordinamento processuale civile, di istituti, quale il
 giuramento decisorio, residuati da  concezioni  giuridiche  e  morali
 oggi non piu' accettabili e, comunque, contrastanti con il diritto di
 difesa  costituzionalmente  garantito  (art. 24 Cost.) alla parte sia
 nel processo penale, sia nel processo civile;